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Al poco giorno…di Dante Alighieri

Nella “Serata di Poesia” del 22 febbraio 2025 al Caffè Telesio

Lettura e commento di Maria Cristina Parise Martirano

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra

di Dante Alighieri

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra 

 son giunto, lasso!, ed al bianchir de’ colli, 

 quando si perde lo color ne l’erba; 

 e ’l mio disio però non cangia il verde, 

 si è barbato ne la dura petra 

 che parla e sente come fosse donna. 

 Similemente questa nova donna 

 si sta gelata come neve a l’ombra; 

 che non la move, se non come petra, 

 il dolce tempo che riscalda i colli 

 e che li fa tornar di bianco in verde 

perché li copre di fioretti e d’erba. 

Quand’ella ha in testa una ghirlanda d’erba,

trae de la mente nostra ogn’altra donna;

perché si mischia il crespo giallo e ’l verde

sì bel, ch’Amor lì viene a stare a l’ombra,

che m’ha serrato intra piccioli colli

più forte assai che la calcina petra.

La sua bellezza ha più vertù che petra,

e ’l colpo suo non può sanar per erba;

ch’io son fuggito per piani e per colli,

per potere scampar da cotal donna;

e dal suo lume non mi può far ombra

poggio né muro mai né fronda verde.

Io l’ho veduta già vestita a verde

sì fatta, ch’ella avrebbe messo in petra

l’amor ch’io porto pur a la sua ombra;

ond’io l’ho chesta in un bel prato d’erba

innamorata, com’anco fu donna,

e chiuso intorno d’altissimi colli.

Ma ben ritorneranno i fiumi a’ colli

prima che questo legno molle e verde

s’infiammi, come suol far bella donna,

di me; che mi torrei dormire in petra

tutto il mio tempo e gir pascendo l’erba,

sol per veder do’ suoi panni fanno ombra.

Quandunque i colli fanno più nera ombra,

sotto un bel verde la giovane donna

la fa sparer, com’uom petra sott’erba.

Commento di Maria Cristina Parise Martirano

L’interesse di questa poesia AL POCO GIORNO E AL GRAN CERCHIO D’OMBRA,  CI delle RIME di Dante,  consiste in primo luogo nella metrica: si tratta di un particolare tipo di canzone: la sestina. La sestina fu usata, anzi inventata, dal trovatore Arnaut Daniel, esponente del trobar clus ( il poetare in modo difficile, chiuso) e Dante è il primo poeta italiano ad adoperarla; sarà poi largamente usata da Petrarca. E’ lo stesso Dante nel De Vulgari Eloquentia dove troviamo la teorizzazione della canzone a proclamare la derivazione della sua sestina Al poco giorno… da Arnaldo Daniello che lui ammirava  molto tanto, che è l’unico personaggio della Commedia che Dante fa parlare nella propria lingua, in questo caso la lingua d’oc . Dante lo pone tra i lussuriosi nel canto XXVI del Purgatorio dove di lui fa dire a Guido Guinizelli che egli considerava suo maestro  “fu miglior fabbro del parlar materno” (Purg., XXVI, 117). Praticamente bastava essere poeti d’amore perché Guinizzelli, Arnaldo e lui stesso, fossero considerati lussuriosi. Ma  prima, della sestina vediamo come è strutturata la canzone di cui la sestina  è  appunto una variante.

La canzone è una struttura poetica composta da un numero variabile di stanze (nella maggior parte, dalle cinque alle sette)  formate da versi endecasillabi o settenari ( nella poesia delle origini anche quinari, ). Ogni  stanza, poi, è divisa tra una fronte e una sirma. A sua volta la fronte è divisa in due piedie la sirma in due “volte”. A questa struttura segue aitualmente un “congedo” che è una stanza più breve. Questo è il modello di canzone che potremmo dire “classica” teorizzato prima da Dante nel De Vulgari Eloquentia e poi da Petrarca nei Rerum Vulgarium fragmenta . Dante, nel De Vulgari Eloquentia, considera la CANZONE come la forma poetica più alta.  della sua produzione   Infatti, dopo la Vita Nuova, nel periodo compreso tra lo sperimentalismo giovanile e la conclusione “comica” della maturità, userà poco il sonetto e pochissimo la ballata e anzi per dirla con il linguista Ignazio Baldelli ( in “Dante ed i poeti fiorentini del duecento”): dopo la Vita Nuova per più di 10 anni Dante è specialmente il poeta della canzone e il  De Vulgari corona questa lunga stagione lirica. Delle canzoni citate nel De Vulgari quattro sono del Convivio, due della Vita Nuova, ed una petrosa, che è, appunto,  la  nostra sestina, ricordata- dallo stesso Dante  -come un capriccio tecnico.

La sestina che fu iniziata, come ho già detto, da Arnaldo Daniello (detta anche sestina lirica per distinguerla dalla sestina narrativa o terza rima), è una variante della canzone ma rispetto alla canzone, obbedisce a regole molto più  artificiose e restrittive, che ne fanno il genere lirico tecnicamente più complesso della tradizione italiana. E’ formata da sei stanze ed ogni stanza da sei versi ( endecasillabi o settenari),  terminanti non con  semplici rime ma con parole-rima e rispetto allo schema della canzone l’ altra variazione consiste nel fatto che  la stanza non si divide come nella canzone.  Dante infatti nel De Vulgari eloquentia, parla della sestina nel secondo libro, capitolo 10, 2-3 ) a proposito della stanza senza diesis, cioè priva di distinzione fra fronte e sirma,  e dice:  : Huiusmodi stantia usus est fere in omnibus cantionibus suis Arnaldus Danielis, et nos eum secuti sumus cum diximus:“Al poco jorno et al gran cerchio d’ombra”, cioè tradotto: siffatte stanze adoperò Arnaldo Daniello in ciascuna sua canzone e noi lo imitammo quando dicemmo “al poco giorno e al gran cerchio d’ombra”. Dopo Dante, Petrarca compose e raccolse nove sestine nei Rerum vulgarium fragmenta (XXII, XXX, LXVI, LXXX, CXXXXII, CCXIV, CCXXXVII, CCXXXIX, CCCXXXII) e la  presenza  della sestina nel Canzoniere ne fece un metro lirico molto imitato, in particolare dai petrarchisti, nel Quattro-Cinquecento (se ne incontrano anche in Leon Battista Alberti, nell’Arcadia di Iacopo Sannazaro, negli Asolani di Pietro Bembo ).

Veniamo ora alla sestina di Dante Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra. Anch’essa è costituita da sei stanze di sei versi endecasillabi che terminano con le stesse sei parole-rima: ombra, colli, erba, verde, petra, donna,  di modo che cioè le sei parole-rima della prima stanza ritornano sempre e obbligatoriamente nelle cinque stanze successive secondo un artificioso principio di rotazione che nella trattatistica latina è definito retrogradatio cruciata  (o retrogradazione incrociata).  Dante nella sua sestina, rispetto ad Arnaldo Daniello apporta almeno due variazioni: le stanze di Arnaldo si avviano su un ottonario, mentre quelle della sestina dantesca sono tutte endecasillabi e, altra variazione, Dante aggiunge un congedo, cioè una stanza breve di tre versi dove ritroviamo tutte le sei parole-rima. Il filologo Claudio Giunta Ha osservato Praticamente : “ se la lirica è, per la mentalità moderna, il genere della libera espressione soggettiva, insofferente di costrizioni, la sestina è il contrario della lirica”. Ma, come diceva  Luca Serianni  “ è anche attraverso esperimenti come questo che Dante <<mostrò ciò che potea la lingua nostra>>, per applicare a lui le parole con cui Sordello saluta e celebra Virgilio ( Purgatorio, VII, 17). Quanto al contenuto, si tratta di una variazione sul tema della crudeltà e della straordinaria bellezza della donna che resta insensibile alla sofferenza dell’amante.  Quale che sia la stagione ( inverno nella prima strofa (stanza), primavera nella seconda), per lui non c’è speranza che il suo animo muti ( ultima strofa). La parola chiave è petra, a simboleggiare la durezza di cuore dell’amata. E’ questa  una  delle  quattro canzoni incentrate su una donna- pietra (che ben difficilmente  si può immaginare in carne e ossa), a cui è stato dato  il nome di “rime petrose” ,  tutte caratterizzate da uno spiccato sperimentalismo espressivo.

                                                 RIME, CI                                                           RETROGRADATIO CRUCIATA
  
   Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra                   A                              
       son giunto, lasso, ed al bianchir de’ colli,                                 B
       quando si perde lo color nell’erba:                                            C
       e ’l mio disio però non cangia il verde,                                     D
        sì è barbato nella dura petra                                                      E
       che parla e sente come fosse donna.                                          F


       Similemente questa nova donna                                                 F
       si sta gelata come neve a l’ombra;                                             A
        ché non la move, se non come petra,                                         E
       il dolce tempo che riscalda i colli,                                              B
       e che li fa tornar di bianco in verde                                            D
       perché li copre di fioretti e d’erba.                                             C


       Quand’ella ha in testa una ghirlanda d’erba,                             C
       trae de la mente nostra ogn’altra donna;                                    F
       perché si mischia il crespo giallo e ’l verde                              D
       sì bel, ch’Amor lì viene a stare a l’ombra,                                A
       che m’ha serrato intra piccioli colli                                           B
       più forte assai che la calcina petra.                                            E


       La sua bellezza ha più vertù che petra,                                      E

      e ’l colpo suo non può sanar per erba;                                        C
       ch’io son fuggito per piani e per colli,                                      B
       per potere scampar da cotal donna;                                           F
       e dal suo lume non mi può far ombra                                       A
       poggio né muro mai né fronda verde.                                       D


       Io l’ho veduta già vestita a verde,                                              D
       sì fatta ch’ella avrebbe messo in petra                                       E
       l’amor ch’io porto pur a la sua ombra:                                      A
       ond’io l’ho chesta in un bel prato d’erba,                                  C
       innamorata com’anco fu donna,                                                 F
      e chiuso intorno d’altissimi colli.                                                B

       Ma ben ritorneranno i fiumi a’ colli,                                           B
       prima che questo legno molle e verde                                         D
       s’infiammi, come suol far bella donna,                                       F
       di me; che mi torrei dormire in petra                                           E
        tutto il mio tempo e gir pascendo l’erba,                                    C
       sol per veder do’ suoi panni fanno ombra.                                  A


       Quandunque i colli fanno più nera ombra,                            B       A
       sotto un bel verde la giovane donna                                      D       F
       la fa sparer, com’uom petra sott’erba.                                   E       C