Lettura e commento di Maria Virginia Basile
di Anonimo Romano
‘Na vorta, quannoché m’annava in fume
un corpo dritto oppuro ‘na scopata,
pe’ nun stà lì a pistà l’acqua pistata
scennévo la scaletta e stavo a fiume.
Acqua e sole ciavéveno er profume
de Roma vecchia, calla e rinfrescata,
co’ du sordi passavi la giornata
e te scrostavi addosso ‘gni patume.
Ma mò er Ciriola è chiuso dar pretore
perché l’innustriali. Dio li sperda,
ciànno ridotto fiume un cacatore.
Purché ‘na lira a loro nun ze perda,
‘sti bboja ‘n vonno mette er puratore,
e Tevere mò è solo storia e merda.
25 maggio 1972
Er dodici de maggio
di Anonimo Romano
Come ch’er Papa seppe der fattaccio
annò in puzza de brutto, chiamò er nano
e doppo avéllo ammesso ar basciamano,
te l’ha trattato come un cacastraccio.
“Me compiaccio,” je fece, “sor cazzaccio,
co’ ‘sto voto m’ài messo a contromano,
m’ài fatto perde er popolo romano
e er sagramento mio, chedé? ‘no straccio.
Ma l’antro, benché esposto a ‘sto ludibbrio
nun se pente e inzistisce : “Ciò raggione,
l’ho fatto p’aggiustàmme l’equilibbrio.
Ce intignò su ‘sto tasto più der mulo,
finché er Papa sbottò: “ Ma, sor cojone
bell’equilibbrio de pijàlla in culo!”
15 maggio 1974
La Pajuca che vola
di Anonimo Romano
Che s’à da legge! Jeri un poveraccio
che s’era fatto un paro de pedali
te l’ànno messo sotto catenaccio
proprio ner braccio del li criminali.
‘Ste carogne de casa ar Palazzaccio
‘nvece, a ‘sta monicaccia senz’uguali
che sfragne li pischelli ner setaccio
la perdonòrno e rimetterno l’ali.
Mò ‘sta Pajuca vola. E manco male
che già li posti so’ tutti occupati
sinnò era già ministro al Viminale.
Ma è chiaro: ‘sta beghina criminale
che sfruttava li pòri spasticati
scarderà er letto a quarche cardinale.
15 gennaio 1972


Er farzo antico
di Anonimo Romano
Dovressivo vedé li Coronari,
piena de guardie, lustra, ‘nfiocchettata
pe’ la mostra che cianno ‘naugurata
li stracciaroli mò che so’ antiquari.
Falpalà, specchi, crosci e stradivari
trummò e conzolli, tutta na parata
de medioevo fresco de giornata
pe’ fregacce i turisti e fa’ l’affari.
Fa er farz’antico è robba d’un momento:
onto e fume, pallini de doppietta
e un comò novo è puro settescento.
Tajò er nastro Andreotti, ‘tacci sui
co’ quer grugno da vecchio e la gobbetta,
la più meju anticaja lì era lui.
24 maggio 1972.
Commento di Maria Virginia Basile
Se è vero che il termine anonimo rimanda a un’incertezza di delineazione di prodotto o persona, è pur certo che lo stesso termine invita ad una curiositas autenticamente riconducibile al forte desiderio di conoscenza che muove da sempre le aspirazioni dell’Uomo; ben noti sono gli esempi nel mito e nelle epopee. Anonimo Romano non esula da questa sorta di regola, da una parte perché trascurato dai molti, da chi è deputato a redigere storie della letteratura, per cui non conosciuto, da un’altra, invece, per la consapevolezza che la sua opera ha sicuro valore di documento storico e linguistico. Più di un esempio nelle varie letterature, sovente ci si è trovati nell’imbarazzante meraviglia di scoprire qualcosa di nuovo, ma che sa di ‘classico’, di universale, quindi di vero. Un esempio che mi sovviene è relativo a tutta una produzione subalterna, mai considerata in letteratura, quella egemone, durante la seconda rivoluzione industriale, è il movimento cartista che, a parte l’opposizione al governo e la pressione per l’acquisizione di diritti della classe operaia, aveva prodotto poesia, difficile da reperire, ma molto bella, soprattutto partecipe di una condizione umana che ha la sua dignità, il suo valore e che dovrebbe essere tenuta in considerazione non fosse altro che per il suo valore di documento, umano, politico, sociale e letterario; vi è anche tutta una letteratura che negli anni è stata definita di appendice e, spesso, relegata a un ruolo dipendente. Tanto per sostanziare la certezza che si possono trovare gemme laddove lo sguardo non riesce a giungere:
Full many a gem of purest ray serene
The dark unfathom’d caves of ocean bear:
Full many a flower is born to blush unseen,
And waste its sweetness on the desert air.
‘cantava’ opportunamente, nella sua famosa ‘Elegy written in a country churchyard’, Thomas Gray, padre del Pre-romanticismo inglese, autore che ispirò tutto il movimento sepolcrale italiano, Cesarotti ecc. , la cui opera fu fondamentale per la scrittura de “I Sepolcri” di Ugo Foscolo.
Wikipedia riporta: La Cronica dell’Anonimo romano è un’opera composta da 28 capitoli e realizzata verso la metà del XIV secolo. L’identità dell’autore è incerta, motivo per cui ci si riferisce a lui con la dicitura anonimo romano. Nel 1994, lo studioso Giuseppe Billanovich propose l’identificazione dell’anonimo romano con Bartolomeo di Iacovo da Valmontone, un chierico al servizio della curia romana: questa ipotesi tuttavia non è stata accolta con favore dalla maggior parte della critica e degli studiosi e l’identità del misterioso autore rimane, pertanto, incerta e di discussa attribuzione. La stesura della Cronica dell’Anonimo romano avvenne secondo gli studiosi intorno al 1357. Come dichiarato dallo stesso autore nel primo capitolo dell’opera (che funge anche da prologo), alla base della realizzazione di quest’opera c’era la volontà di evitare che la memoria dei fatti avvenuti in quegli anni svanisse col passare del tempo. Per molto tempo l’opera non ebbe grande considerazione presso gli studiosi, i quali prestarono attenzione soltanto al capitolo inerente alla narrazione della vita di Cola di Rienzo. Questo capitolo, il più corposo dell’opera, fu per molto tempo considerato un’opera a sé stante dai filologi, e quindi ad esso venne riservato maggior interesse dal punto di vista filologico e storico. Di conseguenza, gli altri capitoli vennero trascurati impedendone una trasmissione completa fino ai giorni nostri.
Dal sito: https://storiesepolte.it/cronica-di-anonimo/
Ancora da Wikipedia:
“ Dopo una serie di edizioni dell’opera realizzate tra cinquecento e seicento, caratterizzate da incompletezza e tentativi falliti di identificare l’autore, nel 1740 Ludovico Muratori pubblicò una prima edizione integrale dell’opera sotto il titolo di Historiae Romanae Fragmenta, inserita all’interno del volume Antiquitates Italicae Medii Aevi. L’opera, per quanto completa, fu però in parte modificata da interventi dello stesso Muratori. Nei secoli successivi, essa ebbe varie edizioni, nessuna delle quali fu però in grado di ripristinare la purezza originaria della Cronica. Fu infine nel Novecento che se ne riuscì a realizzare la prima edizione integrale esemplare e quanto più fedele possibile all’originale. Nel 1941 Gianfranco Contini pubblicò un articolo nel quale rivendicava l’importanza della Cronica all’interno del panorama letterario italiano, contribuendo quindi a rinnovare l’interesse degli studiosi verso quest’opera. Fu poi un suo allievo, Giuseppe Porta, a realizzare nel 1979 la prima edizione critica completa dell’opera.
Contenuto e stile
Gli eventi narrati nell’opera coprono un arco di anni che va dal 1325 al 1357. Tutti gli eventi descritti, stando agli studi di Billanovich, furono vissuti in prima persona dall’autore, e questo garantisce l’accuratezza e l’affidabilità di quanto da lui riportato. Sebbene la maggior parte dell’opera si concentri sulla storia di Roma in quegli anni, vi sono anche capitoli dell’opera che narrano vicende ambientate in altre città, come la cacciata degli Scaligeri da Padova, o la grande nevicata di Bologna del 1338. Il linguaggio dell’opera è il dialetto romanesco medievale, descritto da alcuni studiosi, per l’uso che ne fa l’autore, come dotato di una purezza raramente vista in altre forme linguistiche regionali. L’opera, quindi, è importante anche dal punto di vista linguistico, perché fornisce un affresco vivido del volgare romanesco prima di essere influenzato dal dialetto fiorentino. La scelta del volgare è spiegata dall’autore con la volontà di permettere a tutti, anche alle persone meno colte, di potersi avvicinare al suo lavoro, traendone un’utilità. In virtù del suo linguaggio schietto e colorito, la Cronica dell’Anonimo romano è stata definita da Contini “uno dei capolavori dell’antica letteratura italiana” e studiosi, come lo stesso Contini e Carlo Emilio Gadda, hanno elogiato l’abilità dell’autore nel rappresentare la psicologia umana e nel descrivere con la massima vivacità gli eventi narrati, considerando l’opera dotata di un’eleganza espressiva superata nella prosa del Trecento solo da Giovanni Boccaccio”.
Tirando per sommi capi le fila delle informazioni reperite in rete, si potrebbe assumere la certezza che il lavoro di Anonimo Romano è stato di grande importanza ed ha valore documentale storicolinguistico, pertanto è assimilabile ad opere quali I Racconti di Canterbury, in cui Geoffrey Chaucer usa il volgare ( Medieval English) per scopi letterari, ma altri esempi sono rintracciabili nella chanson de geste, nel romanzo cortese, nella lirica provenzale; momenti storici di grande fascino in cui pian piano la lingua del cosiddetto popolo assurge a un valore di lingua letteraria. Anonimo Romano ha influenzato, nel corso del tempo, anche i poeti dialettali che si sono via via succeduti nella compagine della letteratura in vernacolo, spesso relegata a una definizione di ‘subalternità’ che può trovare le sue ragioni nello scarso interesse che le masse e i loro bisogni rivestivano per i vertici socio-politici. Lontano, o quasi, da riflessioni che potrebbero sorgere, peraltro molto interessanti, una se pur minima trattazione di poesia dialettale non può disconoscere l’intento strettamente legato alle questioni di costume, sociali, politiche. Così come nelle liriche del Belli, poi di Trilussa, tali tratti sono evidenti, modulati secondo caratteristiche che possono differire e che fanno parte dell’originalità di ogni artista. Maurizio Ferrara non si discosta da certe tematiche, ma le affronta con la consapevolezza che il popolo ha ormai acquisito una vera e propria dignità sociale, che viene rappresentato da un grande partito i cui esponenti rappresentano parte della ‘intellighenzia’ italiana tra gli anni 60, 70 e parte degli 80, di cui lui fa parte.
Da “Wikipedia “ : Nato a Roma, il 29 maggio 1921 dove morì il19 aprile 2000, Maurizio Ferrara è stato un giornalista, politico e partigiano italiano. Laureato in Giurisprudenza nel 1942, nello stesso anno, entrò nel Partito Comunista Italiano partecipando alla Resistenza romana, movimento di liberazione che operò a Roma durante l’occupazione tedesca della città, dall’8 settembre 1943 al 4 giugno 1944, data della liberazione della città da parte degli Alleati. Dal 1945 al 1970 lavorò all’interno del quotidiano l’Unità di cui fu commentatore politico, inviato e direttore dal 1966 al 1970. Il 5 giugno 1952 venne condannato in appello a 8 mesi di reclusione e al pagamento di una sanzione pecuniaria per diffamazione nei confronti del Tribunale della Rota Romana. Per anni segretario particolare di Palmiro Togliatti, nelle elezioni regionali nel Lazio del 1970, fu capolista del PCI e venne eletto consigliere regionale. Confermò il suo seggio nelle regionali del 1975; nello stesso anno fu eletto Presidente del Consiglio regionale del Lazio e mantenne tale incarico fino al 1976, quando divenne presidente della regione Lazio. Nel 1977 fu costretto alle dimissioni a causa della risicata maggioranza che lo sosteneva. Nel 1979 venne eletto senatore e confermò il suo seggio a Palazzo Madama nelle elezioni politiche del 1983 e del 1987. Numerosi furono gli incarichi che gli vennero assegnati nel partito: era stato membro del Comitato centrale del PCI dall’undicesimo al diciassettesimo congresso e segretario regionale del Lazio dal 1980 al 1984. Con la moglie Marcella De Francesco, anch’essa partigiana e giornalista, fu autore di varie opere politiche: Conversando con Togliatti e Cronache di vita italiana. Scrisse anche I prati lunghi, Mal di Russia, La Relazione, nonché alcune raccolte di poesie in dialetto romanesco (Er compromesso rivoluzionario, Er comunismo cò la libbertà). Del figlio Giuliano, giornalista, non condivise né la candidatura alle elezioni europee del 1989 con il Partito Socialista Italiano, né la svolta a destra e l’ingresso come Ministro per i rapporti con il Parlamento nel primo governo Berlusconi”.
Il volume “Er compromesso rivoluzionario” di Anonimo Romano contiene la prima raccolta di sonetti composti in dialetto romanesco da Maurizio Ferrara. L’autore trae l’ispirazione delle sue poesie da colloqui occasionali o dallo scambio di vedute con la gente di Roma che incontra quotidianamente. Si tratta quindi di un testo polemico contro il governo italiano (in particolare contro l’amministrazione romana) pervaso da un’ironia graffiante ma costruttiva. Le poesie sono precedute dalla Presentazione dell’autore, in cui Maurizio Ferrara nota come il suo popolo sia cambiato rispetto ai plebei del Belli, giacché hanno vissuto una trasformazione sociale che li ha resi più consapevoli del loro ruolo politico, a contrasto del consumismo e del potere. Direi che si tratta di una silloge poetica che ha grande valore di documento storico, politico, non solo di costume.
I titoli delle poesie lette durante l’incontro del 22 febbraio 2025 presso il Caffè Telesio, in Corso Telesio, a Cosenza, sono : • La Pajuca che vola • Fiume • Er sfarzo antico • Er Papa e er divorzio.
Non si può non sottolineare quanto i Sonetti di Maurizio Ferrara siano non solo efficaci da un punto di vista semantico, ma ben curati sotto un profilo strutturale, metrico. La forma è la tipica del sonetto italiano, sia nel numero dei versi, nella scelta delle strofe (due quartine e due terzine), che nella lunghezza dei versi ( endecasillabi) insieme allo schema delle rime. Il Ferrara è abile nel carpire, fare suo e riproporre in pura, arguta poesia lo spirito romanesco, spesso canzonatorio, irriverente, veritiero, a tratti nostalgico. L’autore crea una preziosa galleria di personaggi reali e realistici, sovente tratti dal panorama politico ed ecclesiastico, ma anche scelti nel popolo, attraverso cui si palesa una divertente, sagace, spesso amara denuncia di fatti, azioni, spesso manchevolezze e debolezze. Lo sguardo etico, cosciente e consapevole, si unisce allo sguardo del politico che non manca di porre l’accento sulle debolezze della magistratura, del clero, dei politici, oltre che della gente comune.
• La lirica ‘Er Fiume’ sottolinea quanto il Tevere, una volta fondamentale per il benessere dei cittadini, sia divenuto inquinato per una politica generale di sfruttamento delle risorse, sbagliata e corrotta. La magistratura ha chiuso un occhio a favore di uno sviluppo industriale che apportò un’errata utilizzazione e inquinamento (ricordo un avvocato di Roma che usava nuotare nel Tevere, nel 1979 contrasse la leptospirosi, per la quale perse la vita).
• La stessa sferzata alla magistratura si avverte nella lirica ‘La Pajuca che vola’ in cui ripercorre il triste fatto di cronaca, del 1969, secondo cui una suora usava maltrattare bambini non autosufficienti nel suo istituto, dei quali molti trovarono una morte misteriosa. Un articolo dell’Unità del 1972 denuncia la scarcerazione di questa donna che sosteneva la sua innocenza anche con parole di disprezzo nei confronti dei più deboli.
• Il tono canzonatorio di ‘Er sfarzo antico’, in cui vi è sempre ironia verso i politici del tempo, evidenzia la disonestà di sedicenti antiquari che ebbero però l’onore di ricevere il tributo di Andreotti e di altri personaggi in vista.
• ‘Er Papa e er divorzio’ celebra il ricordo del Referendum abrogativo del 1974 circa l’istituto del divorzio, in cui una netta maggioranza di NO si oppose. Ferrara usa, come faceva il Belli, epiteti caratterizzanti il politico di turno, ‘er nano’ ( il presidente della Repubblica, Giovanni Leone), immagina un dialogo tra il papa (Paolo VI) e il presidente, chiamato dal primo, in cui Paolo VI non lesinò parole ed espressioni colorite per manifestare la sua totale contrarietà.
Ringrazio Franco Calomino per aver proposto la lettura dei sonetti di Maurizio Ferrara che raccolgono tutta una tradizione di poesia romanesca di antica data e, nel contempo, sono preziosi nel loro valore letterario insieme a una precisa valenza di fonte documentaria.