Anatomia di una crisi – di Massimo Veltri

Pubblicato su l’Altravoce – Il Quotidiano del 9/3/2025

Anatomia di una crisi, alla ricerca dell’intellighenzia calabrese

di Massimo Veltri

L’intellettualità calabrese, quella che a vario titolo, direttamente o lontano dai riflettori, discuteva, polemizzava, proponeva, è svanita.
Ogni forza politica organizzata ne contava fra i suoi organismi e sebbene il più delle volte sopportati appena dalla base che li valutava passibili dell’appellativo ‘notabilare’ costituivano un complemento che almeno alle elezioni veniva proposto, in genere con scarso successo, al giudizio popolare.

Poi c’erano i giornalisti, quelli organici, gli eretici, e a ben pensarci era un panorama variegato, denso. Con l’avvento dell’Università il campione s’e’ accresciuto con tanto di pedigree e aura di accademica autorevolezza: anche qui senza plebisciti di approvazione o condivisione, l’alterità si toccava con mano.
Giornali e riviste, cartacei ovviamente, alimentavano il dibattito, sorsero centri studio. C’erano i partiti, è vero, e c’era l’ideologia, la questione meridionale, le aree interne e le città, lo sviluppo dei centri urbani.

Poi dapprima lentamente in seguito come una valanga è caduto il silenzio, il silenzio nell’universo democratico e di sinistra che pure si diceva tenesse il monopolio: era lì che si faceva cultura.  Quando? Quando il sistema che pure s’era sbloccato dopo il crollo del muro e la globalizzazione è tornato ad irrigidirsi con la crisi della politica, della partecipazione, della militanza. La liquidità della società, il potere della finanza ha fatto il resto.

E il sud sempre sud rimaneva, il popolo da una parte, il palazzo dall’altra.
Intendiamoci, non è che l’intellettuale s’e’ taciuto, ha perso la parola, si è interessato d’altro: no, si è riposizionato. Resosi conto che laddove aveva impiegato energie e passioni in direzione del cambiamento e della emancipazione non c’era più terreno da arare, figuriamoci dal coltivare, s’e’ abborracciato dentro vesti che svariano dal rimpianto dei tempi d’oro, all’attribuzione delle responsabilità delle cose ad altri, anonimi o con nome e cognome, ma comunque e sempre altri.

D’altronde Vittorini se n’è jiuto è una frase che ha i suoi anni, eppure suona purtroppo attuale. La politica estera dunque diventar un buon refugium peccatorum, il terzomondismo perché no, non ultimo né in ordine di tempo né di rilievo la scoperta o l’adattamento alle nostre latitudini di termini, oltre che di pratiche, improntati alla resilienza, alla restanza, alla percezione di come siamo visti e valutati noi calabresi a nord del Pollino. Ai pregiudizi figli pure del lombrosismo.

Un armamentario per alcuni versi originale, per altri nuovo di zecca. E restando nella intellettualità mai uno che è uno che si senta di fare un poco di autocritica, che peraltro non costa né espone a niente, ne’ a chi si è sempre più isolato, tantomeno a chi presidia fortilizi sempre più virtuali.
Dove vuole andare a parare questa notarella amara e fin troppo sentita, mentre i giovani se ne vanno e i vecchi non vogliono invecchiare, il mondo continua a rimanere sconosciuto sempre più? È presto detto: invece di occuparsi di terzomondismo e pace nel mondo si può impiegare tempo ed energie per le nostre cose, da vicino, senza slogan e paraventi: tentar non nuoce, per l’ennesima volta.
La sincerità non è sinonimo di ingenuità, va bene: non sempre è una virtù e non è detto produca frutti, almeno nell’immediato, ma che sia un valore ancora oggi non si discute.